Nelle grandi città si è abituati a
vedere gente di ogni sorta e genere. Nel mio quartiere vive però un
mendicante talmente bizzarro da spiccare persino nella metropoli. Si
aggira a recuperare resti di lamiera, legni, mobili e spazzatura con
uno strano metodo, quasi estetico. Non sapevo dove li portasse finché
una sera, sbagliando strada tra i corridoi rugginosi della metro,
incanalato tra un monolite di cemento e un viadotto decrepito, ho
visto la sua creazione. Un palazzo di rottami, una fine architettura
di rimasugli, decorata con panneggi di vecchi nylon appesi a chiodi
ornamentali, con lattine piegate e cerchioni a mo' di guglie su
quella strana residenza. I pochi passanti da quelle parti non vi
riservavano che le solite occhiate di pietà, o al più qualche
commento borbottato sul fatto che ci si dovrebbe sbarazzare di questi
brutti spettacoli. Eppure sotto questa facciata vi leggevo una certa
invidia, di cui in parte ero io stesso vittima. Perché, tolta la
puzza e la sporcizia, che comunque noi stessi produciamo, in quella
sgangherata architettura c'era una dignità che mancava al più alto
dei grattacieli, e la stessa forza creatrice che in passato ha
fondato gli imperi.
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