Andandosene,
mio nonno mi lasciò ciò che aveva in eredità. Intendiamoci: non
che fosse molto. Fu benestante per un periodo della sua vita, ma
negli ultimi anni dilapidò gran parte delle sue fortune. Una cosa
che gli era rimasta, però, era il grande albero di Storia secolare
in giardino, passato di generazione in generazione. Un tempo
maestoso, il nodoso colosso di legno aveva superato molte peripezie,
tra inverni ed estati, sopravvivendo sempre. Mentre se ne prendeva
cura mio nonno, però, ci fu una delle stagioni più scure e
terribili che si ricordano, e per la prima volta si pensò davvero la
vecchia Storia potesse non farcela. Sopravvisse, per fortuna, ma lo
spavento che il mio vecchio si prese lo portò a curarla con
un'attenzione morbosa. Le piante, si sa, possono perire sia per
carenza che per eccesso di cure, e quando passò infine nelle mie
mani la troppa concimazione e il costante annaffiamento l'avevano
fatta marcire. Quello che non aveva fatto l'inverno mortale, lo fece
la paura. In molti passando innanzi all'antico albero, mi
consigliarono di abbatterlo. Dicevano che ormai era morto e che
imbruttiva il giardino con il suo profilo grottesco e i ricordi che
rievocava. Sorridevo bonario a questi suggerimenti, ben consapevole
che li avrei ignorati. Perché, mentre potavo rami secchi,
rimescolavo il terriccio e stappavo radici marce, tra le onde nodose
della corteccia martoriata, ho visto spuntare ancora il verde di un
germoglio.
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